STONE TEMPLE PILOTS
Stone Temple Pilots
Rhino/Warner
Release date: 16 marzo 2018
Secondo album self-titled della carriera degli Stone Temple Pilots, nato, come già era successo per il primo album omonimo del 2010, dopo un cambiamento radicale nella storia della band: nel primo, si era trattata della “reunion” del trio DeLeo-DeLeo-Kretz, nuovamente con Scott Weiland (tutti impegnati all’epoca in progetti paralleli agli Stone Temple Pilots); nel secondo lavoro autointitolato, il trio si vede ora impegnato con la presentazione ufficiale del nuovo cantante Jeff Gutt, ex finalista di X-Factor 3 in USA. Senza ombra di dubbio, la scelta ricaduta su Gutt deve essere stata molto ponderata, vista l’eredità pesantissima che il nuovo vocalist si dovrà caricare sul groppone per almeno un po’ di tempo, finché non si sarà affermata la sua personalità all’interno del gruppo di San Diego, soprattutto di fronte ai fan storici più intransigenti della band.
Di certo, per Gutt non deve essere nemmeno una passeggiata poter prendere in mano lo scettro – in questo caso il microfono – che una volta apparteneva a Weiland ed a Chester Bennington (seppure per un periodo limitato di qualche anno). Tuttavia, con il nuovo album, “salta subito all’orecchio” l’estrema eccletticità e il potenziale di questo cantante, proveniente dall’ambiente crossover: in ogni singolo pezzo dell’album, lo vediamo adattarsi facilmente ai cambi di tonalità e ai differenti tipi di stile, che purtroppo non gli appartengono. Da cantante vocalmente molto talentuoso, il fatto di passare da uno stile all’altro con una certa naturalezza lo obbliga, però, a giocarsi continuamente la carta del Jolly, con la quale, all’occorrenza, può trasformarsi nel nuovo Weiland, come in “Guilty” o in “Six Eight” o in “Good Shoes” o nel refrain finale di “Finest Hour”, o in Bennington, come in “Roll Me Under”; proprio all’interno di questo singolo, uscito il 31 gennaio scorso, si colgono il cantato di entrambi Weiland e Bennington in due riprese diverse.
L’album inizia a ritmi cadenzati già a partire dalla prima track “Middle Of Nowhere”, proseguendo con la citata “Guilty” e con il singolo ad effetto “Meadow”, uscito nel novembre scorso; con “Just A Little Lie” e “Six Eight”, si ha successivamente una perdita di mordente, pur sottolineando la tipica variante grunge della band californiana; si osserva poi una piccola ripresa con il cantato in stile Eddie Vedder in “Thought She’d Be Mine”. E riecco apparire i tipici riff di basso e chitarra alla Stone Temple Pilots nella citata “Roll Me Under” e persino in “Never Enough” dall’assolo di chitarra, che ti cattura piacevolmente. Purtroppo, in chiusura, questo lavoro ha un crollo di stile con le ultime 4 canzoni: prese singolarmente sono track molto apprezzabili, se viste in chiave blues e sleaze, ma forse un po’ troppo azzardate per il gruppo americano. “The Art of Letting Go” apparirebbe come un lento blueseggiante piuttosto debole e con poca grinta, se non fosse per la somiglianza con la melodia dei Radiohead, così come “Red & Blues” che richiama i Green Day.
Un merito va comunque dato ai tre Stone Temple Pilots storici, DeLeo, DeLeo e Kretz, che, col passare degli anni e con gli avvenimenti che li hanno coinvolti in prima persona, tra cui la perdita di due cantanti carismatici, avvenuta in maniera tragica a distanza di un paio d’anni, non si sono mai persi d’animo e sono riusciti a mantenere a livello strumentale i tratti distintivi e caratterizzanti il loro stile.
Tracklist:
01 Middle Of Nowhere
02 Guilty
03 Meadow
04 Just A Little Lie
05 Six Eight
06 Thought She’d Be Mine
07 Roll Me Under
08 Never Enough
09 The Art Of Letting Go
10 Finest Hour
11 Good Shoes
12 Reds & Blues
Line up:
Dean DeLeo – guitar
Rober DeLeo – bass, backing vocals
Eric Kretz – drums
Jeff Gutt – lead vocals
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